21 milioni di italiani interessati, oltre 7 milioni incollati agli schermi per seguire le gesta della nazionale di Milena Bartolini all’ultimo mondiale. In molti hanno imparato a riconoscere e apprezzare le giocate del capitano Sara Gama o i gol dell’attaccante Barbara Bonansea. Diversi si sono emozionati quando, dopo aver perso ai quarti di finale contro l’Olanda, tutte le giocatrici e lo staff si sono riunite e abbracciate per qualche minuto, facendo scivolare via l’amaro per lasciar spazio alla consapevolezza dell’impulso ricevuto dal movimento. Quello che fino a pochi mesi fa sembrava uno sport di nicchia, destinato a rimanere all’ombra della sua (ben più famosa e seguita) versione maschile, con l’ultima competizione internazionale ha infatti registrato una crescita sorprendente.
A rimanere sorprese in prima battuta sono state molto probabilmente le donne che questo mondo lo frequentano da anni, abituate a far parte di una nicchia, lontane dai riflettori.
Nel Belpaese infatti, dati Istat alla mano, le ragazze che decidono di puntare su questo sport sono una netta minoranza. Il calcio non riscuote grande interesse (su 100 italiane che praticano sport, solo una sceglie il calcio), mentre una adolescente su 4 si dedica a danza e ballo. Negli uomini, la situazione si ribalta: se sei nato in Italia, hai meno di 35 anni e pratichi uno sport, hai il 50% di probabilità di giocare a calcio.
Diventare una calciatrice di alto livello diventa ancora più difficile per chi abita al sud, dove le squadre sono praticamente assenti. Fatta eccezione per la Pink Bari, nessuna squadra al meridione ha militato nei campionati di serie A e B dell’ultimo anno.
Eppure in altri Paesi la situazione è ben diversa. Appena fuori dai confini nazionali, il calcio si impone come sport di squadra femminile più popolare in Svizzera, Austria e Germania, e conquista il primato in diversi altri stati della parte centrale e settentrionale del vecchio continente. Oltreoceano, uno studio condotto dal Bureau of Labor Statistics ha dimostrato che negli Stati Uniti, su 100 persone che hanno praticato il calcio negli anni 2009-2015, ben il 22% sono donne.
Passando dai praticanti alle giocatrici tesserate vediamo che in Italia le ragazze che giocano a calcio sono davvero poche: considerando l'intero pianeta, l'Italia si colloca solo al quindicesimo posto con circa 20.000 giocatrici.
La UEFA, che ha fotografato la situazione in Europa al 2017, parla per l’Italia di circa 10.000 giocatrici maggiorenni e altrettante minorenni.
Se guardiamo le possibilità oltre il calcio giocato, è facile intuire che cosa succede alle ragazze una volta appese le scarpette al chiodo. Le donne sono praticamente assenti dai comitati, non allenano squadre maschili (e spesso neanche femminili), non compaiono nelle terne arbitrali delle partite che contano.
“Finché le donne non ricopriranno il ruolo di allenatrici, dirigenti, commentatrici tv, i genitori non manderanno volentieri le ragazzine alla scuola calcio - riflette Carolina Morace, tra le giocatrici più forti della storia del calcio italiano e oggi allenatrice. Ci sono tante donne qualificate, ma se a decidere sono sempre uomini sarà difficile creare empatia”.
Per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno, basti pensare che la scorsa primavera ha fatto notizia la designazione di Stéphanie Frappart come primo arbitro donna in Ligue 1 in Francia, in vista anche del mondiale che si sarebbe giocato di lì a poco.
In Italia, al momento, nessuna donna ha mai diretto una partita di serie A né B maschile. Il gap persiste anche nel campionato femminile: nelle serie A e B femminile ci sono solo 9 arbitre su un totale di 191 dirigenti di gara.
Tuttavia una nota positiva c’è: il nostro Paese si colloca al secondo posto in Europa per la presenza di donne arbitro, con 1600 dirigenti di gara nel 2017. La maggior parte di queste, tuttavia, impugna il fischietto nelle competizioni provinciali e regionali, mentre si contano sulle dita delle mani quelle che dirigono partite nazionali.
La dimensione ancora amatoriale del calcio femminile traspare dai dati sulle tesserate straniere: nell'ultimo campionato di serie A, oltre il 77% delle giocatrici era di nazionalità italiana. Il contrasto con il calcio maschile, dove gli italiani rappresentano meno della metà dei tesserati, è evidente, ed è indice dell’approccio ancora dilettantistico che è presente nel calcio femminile.
Stessa conferma arriva se si guardano le età delle giocatrici. Nel campionato di serie A appena concluso, le giocatrici sono in media di qualche anno più giovani rispetto ai colleghi maschi. Le ragazze arrivano alla serie maggiore prima dei ragazzi (ben il 31.8% delle calciatrici ha tra i 15 e i 20 anni, contro il 21.95% dei calciatori), ma poi smettono anche prima di giocare. L’età media dei ragazzi della serie A è di 25.25 anni, mentre per le ragazze della stessa categoria è di 23.4 anni.
Per spiegare le età basse e la scarsa propensione ad attirare straniere nei nostri campionati può essere utile guardare i dati relativi agli stipendi. Le nostre calciatrici guadagnano poco, molto poco, e non solo in confronto agli ingaggi milionari dei colleghi.
Lo stipendio medio delle calciatrici (e in generale delle donne che praticano molti sport in Italia) è fissato da una legge che risale a più di 40 anni fa e che stabilisce che il calcio femminile non è uno sport professionistico. Così Sara Gama e compagne, se decidono di rimanere a giocare in Italia, non possono percepire stipendio, ma solo un rimborso spese, che può ammontare ad un massimo di 26500 euro all’anno anno e non fa maturare pensione.
Questo può spiegare, almeno in parte, l’approccio amatoriale verso questo sport. Chi gioca, anche nella massima serie, può essere costretta ad avere un lavoro per mantenersi, e di conseguenza a non allenarsi quanto e come vorrebbe e a smettere presto. Le straniere talentuose, inoltre, difficilmente vorranno trasferirsi in Italia a certe condizioni economiche.
Il risultato è inevitabilmente un abbassamento del livello di gioco, che rischia di rendere la versione femminile dello sport più amato dagli italiani un gioco a tratti noioso e che non vale la pena di seguire. “Purtroppo c’è ancora troppo dilettantismo nel calcio femminile. Le partite sono meno piacevoli da guardare e di conseguenza meno capaci di attirare pubblico”, spiega Carolina Morace.
Tuttavia, se la situazione può sembrare a prima vista disastrosa, negli ultimi anni - e ancor più rapidamente negli ultimi mesi - la situazione sta cambiando.
Complice l’ottimo percorso intrapreso dalla nazionale in Francia e la visibilità mediatica che ne è scaturita, dallo scorso luglio il calcio femminile ha ricevuto un grande slancio ed è riuscito ad appassionare milioni di italiani.
Ma già i dati della Uefa del 2017, in tempi non sospetti, indicavano un discreto interesse del pubblico nei confronti delle partite di calcio femminile, paragonabile agli altri Paesi europei.
Il risultato dell’ultimo mondiale in realtà arriva dopo un programma di rivalutazione del calcio femminile intrapreso dalla federazione ormai da qualche anno.
Già dal 2013, la Figc aveva avviato una serie di attività e iniziative per il rilancio del calcio femminile in Italia. Oltre ad aumentare il numero di squadre, aveva portato avanti una serie di iniziative di promozione sul territorio e nelle scuole, per invogliare le ragazze a iscriversi a una scuola di calcio.
L’anno successivo veniva istituita la categoria “Calciatrice italiana” nella Hall of Fame del Calcio italiano: ne sono entrate a far parte atlete come Carolina Morace e Patrizia Panico, vere e proprie leggende del calcio femminile.
L’impulso più importante è arrivato nelle ultime due stagioni, quando la federazione ha varato una serie di riforme per far dotare ogni club maschile di serie A di una squadra femminile. Tra le prime a raccogliere la sfida c’è stata la Fiorentina, che nel 2016/17 si è aggiudicata scudetto e coppa Italia. Negli anni successivi si sono uniti diversi altri club, come Juventus, Milan e Roma.
Dall’inizio della stagione 2018/2019 l’organizzazione dei campionati di Serie A e Serie B è passata dalla Lega Nazionale Dilettanti alla Figc, mentre, anche grazie alla visibilità dell’ultimo mondiale, il tema degli stipendi delle calciatrici e della necessità di una migliore contrattualizzazione è al centro del dibattito.
E l’Italia non è la sola a voler puntare su questo sport. Risale a poche settimane fa l’annuncio del presidente della Fifa Gianni Infantino della volontà di investire cinquecento milioni di dollari per i prossimi quattro anni sul calcio femminile, per finanziare i programmi di sviluppo, la Coppa del Mondo e le competizioni giovanili.
Valter Di Salvo, responsabile dell'area "performance e ricerca" del Club Italia, spiega come lui e i suoi colleghi hanno lavorato per preparare al meglio le ragazze della nazionale: “Abbiamo dotato tutte le nostre squadre, sia maschili che femminili, degli stessi sistemi di allenamento. Gli uomini usavano già il gps per monitorare gli allenamenti ma noi abbiamo deciso di inserirlo anche per le donne”. L’obiettivo è crescere sempre di più in termini di prestazioni, visto che nelle donne (che non sempre sono allenate al top della loro condizione come i professionisti), il margine di miglioramento è ampio.
E le possibilità di crescita ci sono anche a livello economico: “L’area femminile è interessante sotto vari punti di vista: culturale, sociale, sportivo ed economico. Qui si possono attirare nuovi sponsor, anche totalmente diversi d a quelli del maschile”, riflette Michele Uva della Uefa. “Nel 2015 abbiamo proposto di aprire la Danone Cup (la coppa del mondo under 12, ndr) anche al femminile. L’Italia ha partecipato giocando con le ragazzine. È stato un successo, da quel momento il torneo è diventato sia maschile che femminile”, ricorda Uva.
I risultati di queste nuove politiche non sono tardati ad arrivare. La nazionale femminile italiana oggi, dopo l’esperienza positiva di Francia 2019, occupa la quattordicesima posizione del ranking mondiale. La classifica, attiva dal 2003 e aggiornata ogni tre mesi, ha visto l’Italia partire dal decimo posto per poi scendere fino al diciannovesimo nel 2017 e salire di nuovo negli ultimi anni
Viola Bachini (journalist) Angelica Lo Duca e Andrea Marchetti (data scientists) Matteo Tito (designer)